Isola carcere di Gorgona: cos’è che bisogna curare / di Marco Verdone

Il granulo; n.3/2007 (…leggi la versione pdf)

All’inizio di ogni anno è sempre una sorpresa arrivare sull’isola e vedere spuntare da lontano i fiori dell’aloe che come piccoli cipressi rossi s’innalzano dritti verso il cielo.

L’isola in questione è quella di Gorgona che dal 1869 accoglie una Casa di Reclusione ad indirizzo agricolo-zootecnico. A 18 miglia dalla costa livornese e con una superficie di poco più di 2 kmq, questo microcosmo ospita uomini, piante ed animali che, per un certo periodo percorreranno un tratto di strada insieme. Alla fine degli anni ’90 con un detenuto mettemmo a dimora alcune piantine di Aloe arborescens. Il loro splendido fiore che si erge in pieno inverno ci aiuta a scandire il tempo, ad ammirare la grazia della natura e a fare esercizio di memoria. In quasi venti anni di frequentazione dell’isola le storie vissute sono state tante e gli animali soprattutto hanno svolto il ruolo di attori involontari e di insostituibili educatori. La medicina omeopatica è stata al mio fianco e, insieme a certe forze naturali, abbiamo cercato di mantenere in equilibrio questa comunità molto complessa.

Proprio di fronte a queste aloe, le cui foglie dono a nome di Gorgona a tutte le persone che le richiedono, si affaccia la vecchia porcilaia. Qui le scrofe arrivano poco prima del parto da un ampio recinto e vi restano fino alla svezzamento dei maialetti. Un paio di estati fa, Beppe, il detenuto dei maiali, aveva notato che alcuni maialetti andavano in diarrea e allora aveva proposto all’agente Griu, di mettere un ombreggiante. La sua diagnosi era semplice: il problema era il sole. Il suo procedimento era logico: le mamme si mettevano al sole, le mammelle si riscaldavano, il latte diventava troppo caldo e i maialetti andavano in diarrea. Soluzione: ombreggiare. All’inizio l’agente Griu non era molto d’accordo. Le novità, si sa, disturbano, ma Beppe gli disse con quel suo modo calmo e sorridente di chi sa il fatto suo: “Appuntà, mi faccia fare una prova e vediamo ai prossimi parti se ho ragione o no…” E fu così che Beppe mise dei tubi e stese l’ombreggiante davanti ai box. Le osservazioni si rivelarono giuste e non si verificarono più diarree. Beppe era una persona coscienziosa e infaticabile. Un giorno, davanti le scrofe finalmente riparate dal sole gli chiesi scherzando: “Ma dove ti è venuta l’idea di mettere l’ombreggiante. Beppe sorrise schernendosi. “Questa cosa l’ho imparata da piccolo” disse. “Noi eravamo contadini e quando ero piccolo tutta la famiglia andava nei campi, anche la mia mamma con mio fratello che allattava ancora. Quando d’estate tornava a casa sul mezzogiorno, mi ricordo sempre che la prima cosa che faceva era di immergere le braccia nell’acqua fredda. Diceva sempre che era pericoloso dare il latte al fratellino quando era ancora accaldata e quindi prima si raffreddava e poi allattava”. Il ragionamento non faceva una grinza e d’altronde anche Kent, nella materia medica di Aconitum, che sicuramente Beppe non conosceva, scriveva: “La maggior parte dei disturbi intestinali sono causati nei bambini dal caldo intenso. Il caldo provoca nei neonati una infiammazione al fegato, le feci diventano bianche come il latte e hanno la consistenza del mastice.
“Beppe – aggiunsi mentre sorrideva – grazie per questo ricordo. Anche oggi con te ho imparato un’altra cosa!”

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