la confidenza lenta intervista marco verdone

Marco Verdone, scambi e collaborazioni tra i ‘noi animali’ – un’intervista libera e incantevoli acquerelli (http://laconfidenzalenta.blogspot.com)
a cura di Giovanni Manizzi
8 aprile 2020(*)

Schermata 2020-04-08 alle 18.24.41Marco Verdone è un medico veterinario omeopata. Ha lavorato per un quarto di secolo come responsabile veterinario della Casa di reclusione dell’isola di Gorgona (LI), dove ha approfondito la relazione tra esseri umani in difficoltà e soggetti non umani presenti.
Proviene dall’esperienza della ri-educazione, quindi condivide una visione biocentrica e l’equazione: Prevenzione = Educazione.

Per te è stata una gioia e un onore riuscire a contattarlo e organizzare questa ‘chiacchierata’ con lui, attraverso i canali del web, che ci mette in comunicazione sena spostarci da casa. Marco è stato un interlocutore generosissimo e paziente, si è preso il giusto tempo per rispondere. Ci sono dei post che sono più avvincenti di altri da preparare – come questa intervista a Marco, piena di scambi in corso d’opera. Quando leggerete le sue risposte, troverete un mare di spunti, di riflessioni, ciascuno dei quali varrebbe per un post a parte.
Le prospettive si aprono a giro completo ed emerge la trama complessa delle interrelazioni tra i molteplici aspetti delle questioni animali, questioni che gli umani da un po’ di tempo in qua, danno l’impressione di aver dimenticato.

1. La tua presa di coscienza sui diritti degli animali è iniziata anni fa. Si può dire che tu avessi una ottima partenza, in quanto veterinario e in quanto responsabile a Gorgona, questa situazione più unica che rara. Ma l’esito di questa partenza e dalle intuizioni tue e mutamenti di percorso, non era per niente scontata. Che cosa ha giocato in te, come differenza?

Permettimi di fare un passo indietro. Devo dire che ci sono state varie circostante favorevoli nel mio percorso personale e professionale che mi hanno portato a prendere coscienza della condizione animale e, più in generale, della cosiddetta Questione Animale (o dell’animalità?). Potrei, ad esempio, far risalire un passaggio importante del mio interesse per il mondo animale e, in particolare, verso la sua psiche, quando iniziai a leggere, durante i primi anni del liceo scientifico, i libri di Konrad Lorenz. Questo lo devo a mio padre che per primo mi suggerì di leggere, E l’uomo incontrò il cane, uno dei testi più celebri (poi in parte scientificamente superato) del celebre etologo viennese.
Intanto era accaduto, negli anni precedenti, qualcosa che avrebbe influenzato decisivamente la mia scelta professionale e il mio approccio con lo studio degli animali non umani. Mi riferisco al fatto che per alcuni anni della mia adolescenza (scuole medie) ho svolto una sorta di dog sitter ante litteram perché, non avendo cani in appartamento, passavo quasi tutto il mio tempo libero a portare a spasso, o meglio in vere e proprie escursioni di svariate ore in zone impervie e periferiche, diversi lupoidi di persone che non avevano tempo per farlo e, non so perché, si fidavano di un ragazzino di soli 11-12 anni. Questo mi ha consentito di sviluppare una conoscenza dei cani in assoluta libertà, senza alcun condizionamento culturale e, devo aggiungere, anche con un certo inconsapevole azzardo (una delle attività più frequenti era di andare a osservare/seguire con i “miei cani padronali” un gruppo di cani inselvatichiti organizzati in branco…). Da lì nacque poi la volontà di fare il medico veterinario e così fu. Ma durante gli anni del liceo scientifico i miei interessi principali erano legati alla zoologia e all’etologia. Facevo letture disorganizzate ma appassionate dei grandi maestri e questo mi ha fatto sopravvivere alla noia delle materie scolastiche somministrate senza quella tensione che desideravo da un docente. Ho continuato così anche all’università dove ho capito abbastanza presto che quel percorso accademico non mi interessava. Cercavo la “vita vera”, il contatto con la fauna selvatica, la forza vitale di un ambiente naturale, lontano anni luce dalla zootecnia (la tecnica applicata allo sfruttamento materiale, economico, degli animali non umani). Durante quegli anni coltivai essenzialmente l’interesse verso la conoscenza e gestione della fauna selvatica (nel 1987 realizzai, infatti, una tesi sperimentale sulle tecniche di censimento della lepre europea). Successivamente, ho lavorato un paio di anni al Parco Nazionale d’Abruzzo e, alla fine della specializzazione in Sanità Animale, la tesi si occupò dello studio del randagismo canino nel paese di Pescasseroli (AQ).

Tutta questa lunga premessa per dire che mi interessava la relazione tra umani e altri animali, inseriti nello studio dell’ambiente e delle varie dinamiche intercorrenti.

Il terreno era quindi favorevole per l’incontro (casuale?) con un’altra radice fondamentale del mio albero evolutivo: la medicina omeopatica classica. Quest’ultima mi ha dato gli strumenti medico-filosofici per leggere la realtà vivente con la quale interagivo e di intervenire con farmaci (rimedi) concreti su singoli casi clinici, superando, tra le altre cose, le barriere di specie.

Arrivato (o meglio sbarcato) nel 1989 in Gorgona, tutto questo mi servì per iniziare quel lungo, interessante, multidisciplinare e travagliato viaggio che ha condotto al risultato inedito della chiusura del macello dell’isola (vedi oltre).
In Gorgona ho avuto la possibilità di interagire con tutte le specie domestiche e con quella categoria di esseri umani privati della libertà personale. Due mondi paralleli e per molti versi sovrapponibili.
In questo luogo pieno di bellezze naturali e di tormenti interiori, ho maturato gradualmente la necessità di rivedere e quindi, alla fine ribaltare il paradigma dominante sia in campo medico che etico. Noi umani non siamo superiori agli altri animali e, inoltre, ogni giudizio deve essere sospeso quando ci avviciniamo a persone che scontano la pena della reclusione. Si è trattato di un percorso inedito, che mai avrei immaginato di dover affrontare. Sono stato messo a dura prova e solo la volontà di poter migliorare da un lato la condizione degli animali presenti e dall’altro essere testimone concreto di azioni nonviolente nei confronti delle persone detenute, mi ha consentito di non mollare.  Intanto al mio fianco avevo gli strumenti della medicina omeopatica (e più in generale anche di quella che oggi viene chiamata medicina complementare). Senza di essa, probabilmente, non avrei potuto fare il percorso che oggi mi ritrovo ad aver realizzato. Un percorso fatto insieme a tante altre persone, a tanti altri soggetti animali, che ha diluito gli individualismi e ha fatto emergere una forte comunità interspecifica (che poi ho chiamato, per prossimità alla mia prospettiva marina e isolana, Ondamica), fatta di umani, animali non umani e vegetali.

Acquerello di Marco Verdone su cartone riciclato

Acquerello di Marco Verdone su cartone riciclato

2. Tu parli sempre di gruppo, nei tuoi scritti e sembri preferire mettere in primo piano gli altri che han lavorato insieme a te, piuttosto che al tuo singolo operato. La squadra è così importante e perché? Ne fanno parte anche gli animali nonumani?

Il percorso sviluppatosi soprattutto in Gorgona, e non solo, è stato sì inaugurato in qualche modo da me, ma non avrei potuto svilupparlo nella direzione che avevo intuito ormai circa 30 anni fa, senza il sostegno e i contributi intellettuali, spirituali e materiali di tante altre persone.   Tra queste devo includere anche quelle recluse e tutta la vasta comunità di animali non umani che nel corso degli anni sono nati, cresciuti e per la maggior parte morti (uccisi) sull’isola. In particolare, senza la presenza e la relazione diretta con gli animali non umani presenti, i loro insegnamenti, le loro malattie, le loro guarigioni, le loro interazioni con i reclusi umani, non avrei appreso quel poco che conosco (senza falsa modestia) e non avrei potuto mettere bene a fuoco la rotta da seguire e il porto dove approdare. Il mio compito era osservarli, farmi guidare, imparare dall’esperienza, dai successi e soprattutto dagli insuccessi e, dopo aver fatto vuoto in me, ascoltare la mia coscienza. Proprio in questo spazio di ascolto è poi avvenuta la decisione, basata su fatti concreti e inoppugnabili, di non contribuire individualmente allo sfruttamento degli animali smettendo di nutrirmi di prodotti di origine animale. Questa scelta, avvenuta grazie alla relazione stabilita con gli animali di Gorgona, è stata fondamentale per ricucire quel divario spesso presente tra etica e pratica. Da quel momento lo sguardo verso gli amici animali non umani di Gorgona e del mondo esterno è cambiato così come è cambiata la mia fisiologia fisica e mentale. 
L’isola è una grande metafora della condizione umana che in parte è isolata e in parte cerca la relazione con l’esterno. Anche in Gorgona si è sviluppato un processo di scambio attraverso la collaborazione delle varie parti in gioco interne ed esterne.
Negli anni molte persone sono arrivate sull’isola per vari motivi e con molte di esse abbiamo stretto legami che il tempo non ha più spezzato. Ho avuto la fortuna di avere alcuni amici con i quali condividere nel profondo tutti i passaggi di questo viaggio. Vorrei ricordare solo uno di essi perché è volato via recentemente, poco tempo dopo aver compiuto 80 anni. Con Filomeno (per tutti Filò) ho avuto il privilegio di averlo a stretto contatto quotidiano per oltre venti anni. Un amico prezioso che mi ha aiutato a capire come, alla fine, quello che sappiamo arriva quasi sempre da altri e che, in una comunione di sapere, è più giusto passare dall’io al noi. In uno spirito di vera condivisione, dove il pensare diventa evento comune e dove le menti e il cuore si uniscono quasi come se vibrassero all’unisono, non si sa più cosa è mio e cosa è tuo. Quindi è necessario parlare in termini plurali e rendere merito a chi ha contribuito, spesso nell’assoluto anonimato, a farti essere quello che sei oggi. E come dicevo sopra, moltissimi di questi soggetti-amici sono stati esseri non umani che mi hanno aiutato anche a non abbandonare il sogno di vederli un giorno al sicuro da ogni forma di sfruttamento e morte violenta.

Acquerello di Marco Verdone

Acquerello di Marco Verdone

3. La vicinanza reale, concreta, quotidiana, agli animali è proprio ciò che manca anche a molti animalisti. L’esperienza di entrare in contatto e conoscenza con loro, aggiunge qualcosa alle idee? Che cosa?

Durante la mia vita professionale ho avuto la possibilità di fare molte esperienze diverse, con animali domestici e selvatici. In generale, noi veterinari abbiamo una platea molto vasta di specie animali con le quali interagiamo, con passaggi non solo di specie ma di Classi tassonomiche (mammiferi, uccelli, pesci, rettili…), che richiede spesso un notevole impegno anche dal punto di vista formativo. 
La medicina omeopatica mi è stata di grande aiuto anche sotto questo profilo perché, adottando leggi universali di natura e focalizzandosi primariamente sulle modalità di espressione dello stato di malattia di quel singolo individuo (unico e irripetibile), permette di superare, per certi aspetti, quelle distinzioni di specie che presuppongono anatomie, fisiologie e patologie diverse alle quali corrispondono farmaci e dosaggi differenziati. L’approccio al paziente è in linea generale simile (con le dovute specificità) e i rimedi sono gli stessi per tutte le specie. 
Superando, quindi, le barriere di specie in un’ottica di assoluta biodiversità e originalità, possiamo affermare che la medicina omeopatica è un vero e inedito sistema medico non specista. 
Per usare un paragone marinaresco, è un po’ come avere una imbarcazione adattabile che riesce a navigare attraverso vari mari. E, quindi, a fare anche molte esperienze diverse e interessanti.
Nel mio caso, la sensibilità verso le tematiche di vera tutela del mondo animale non umano (che dovrebbe sempre essere imperativo categorico della nostra professione) ha solide radici nell’esperienza diretta, nella conoscenza della fisio-patologia degli animali e delle filiere produttive di quelli antropocentricamente definiti “da reddito”. Questo mi consente, di norma, di prendere decisioni, anche per la mia vita personale, dopo aver toccato con mano ogni aspetto del problema relativo alle nostre interazioni conflittuali con gli altri animali.
 Inoltre, dobbiamo considerare un altro segmento della nostra esperienza professionale rappresentato dalla conoscenza diretta delle fasi di uccisione degli animali. Sebbene non mi sia mai occupato di questo settore (macelli e ispezione degli alimenti), in alcuni casi, per alcuni soggetti animali di Gorgona, ho voluto accompagnarli fino all’ultimo istante di vita per essere non solo di conforto (pressoché aleatorio), ma testimone di un aspetto che non tutti hanno la possibilità di vedere in diretta (forse chi mangia animali dovrebbe farlo). Questa straziante esperienza ti permea nel profondo, impregnandoti della drammatica fine, oggettivamente violenta, di un animale che, spesso nel pieno della sua esistenza, avrebbe il diritto di continuare a vivere degnamente e all’opposto, in virtù del potere politico della specie umana, viene interrotto arbitrariamente nel suo flusso vitale.

Non è facile esprimerlo a parole, ma assistere alla morte di un essere che hai conosciuto fin dalla nascita, che hai visto crescere, che hai curato e hai spesso anche coccolato, e non poter impedire la sua morte, ti cambia ogni prospettiva sul mondo dei non umani e, più in generale, della vita.
 Le idee si rinforzano perché si conoscono i meccanismi intimi delle strutture mentali e materiali di sfruttamento e, di conseguenza, si matura l’urgenza, esperita direttamente con i nostri sensi, di porre fine ad attività violente di cui l’umanità e il pianeta non solo non hanno alcuna necessità ma, soprattutto, sono fonte di profonda sofferenza per i miliardi di esseri senzienti che sacrifichiamo per i nostri interessi essenzialmente economici incastonati in uno sfondo di tradizioni culturali e abitudini inveterate verso le quali, mai come oggi, abbiamo il dovere di superare.

Quindi, in conclusione, per rispondere alla domanda: “l’esperienza di entrare in contatto e conoscenza con loro, aggiunge qualcosa alle idee?” direi semplicemente che aggiunge la forza della verità. Una verità che batte alle porte della tua coscienza e che, se le presti ascolto, inevitabilmente, ti costringe a non essere più lo stesso.

Acquerello di Marco Verdone su cartone riciclato

Acquerello di Marco Verdone su cartone riciclato

4. Da anni fai divulgazione. Secondo te, come si può comunicare al meglio la necessità di cambiare i nostri atteggiamenti verso gli animali, ma anche le piante – tutto il pianeta?

In questo momento storico, abbiamo l’emergenza pandemia da coronavirus (covid 19) che rappresenta, se confermato, l’epifenomeno e le conseguenze di un rapporto conflittuale e predatorio nei confronti dell’ambiente nel suo complesso e del mondo animale e vegetale in particolare.
Ormai su questi ultimi aspetti non ci sono più dubbi e sia il mondo scientifico che associazionista, oltre a specifici movimenti come Friday for future, hanno posto all’attenzione generale (in particolare ai leader politici delle maggiori potenze politico-economiche mondiali) il globale e urgente problema dei cambiamenti climatici che, come tutti sanno o dovrebbero sapere, sono riconducibili ad attività umane tra le quali spiccano quelle della zootecnia intensiva e della diffusa e irresponsabile deforestazione.

Il nostro Pianeta, seppur molto generoso e flessibile, è limitato. Noi umani stiamo crescendo esponenzialmente di numero, mentre -parte dell’umanità dominante- va riducendo la biodiversità e saccheggiando le risorse primarie a discapito del resto del mondo vivente (umano e non).

Premesso questo, le attività di divulgazione e formazione sono sempre state parte integrante della mia vita. Mi sono interessato di due ambiti strettamente collegati: la medicina omeopatica con il modello di salute olistico ad essa correlato e la cosiddetta Questione animale (o dell’Animalità?).
Me ne sono costantemente occupato sia nel carcere di Gorgona con le persone detenute e con i cosiddetti “civili” che l’isola ha sempre intercettato, che con la cittadinanza, gli operatori sanitari, le scuole.

Si tratta di un percorso spesso lungo e tortuoso perché il cambiamento è un processo lento e faticoso. Freud sosteneva, infatti, che è più facile soffrire che cambiare. O, come dice un proverbio africano, “è più semplice deviare il corso di un fiume che cambiare l’animo umano”. Infatti, cambiare significa rimettere in discussione tutta la propria struttura mentale, di valori e routinaria. Ciò richiede fatica, cosi come fare ordine ai libri in una libreria caotica e affollata.
In particolare, la situazione si complica quando dobbiamo affrontare il cambiamento nei confronti del rapporto con il resto del vivente e specialmente con gli altri animali dai quali desideriamo mantenere le distanze ma – in modo schizofrenico – senza i quali non potremmo vivere e costruire la nostra idea di mondo.

All’interno, poi, di questo grande tema, come in una scatola cinese, troviamo gli aspetti alimentari che rappresentano un terreno minato, una sorta di tabù culturale, economico e politico.
È necessario ricordare che salute globale e relazione con gli altri animali vanno di pari passo.
Non c’è salute di un individuo se un organo o un apparato soffre.
Non c’è salute collettiva se una parte, se alcuni individui, soffrono.
Non c’è salute della specie umana se continuiamo a sterminare le altre specie viventi animali e vegetali.

Nello sforzo di sollecitare a una riflessione intorno alla relazione con gli altri animali, mi interessa estendere l’attenzione anche al mondo vegetale che ricordiamo rappresenta 99,5% della massa vivente sul Pianeta e senza il quale ora non staremmo qui a scrivere e a leggere! Il mondo delle piante ci aiuta a ridimensionare la nostra illusione di essere i migliori e i padroni del mondo. Siamo infinitamente debitori a questi esseri viventi che manifestano impensabili capacità cognitive pur non avendo quel sistema nervoso che noi umani riteniamo essere l’elemento determinante di certe capacità che, con una visione cerebro-centrica, ci autorizzano a sentirci superiori. Alla luce di certe evidenze (divulgate, per esempio, da Stefano Mancuso) la conoscenza profonda del mondo vegetale ci apre scenari inediti che ci aiutano anche a mettere meglio a fuoco la relazione con il mondo animale.
Cerco di comunicare la necessità di osservare i fatti del mondo in modo globale, interconnesso, multidisciplinare, responsabile e consapevole.

Soprattutto con i soggetti più “sensibili” con i quali ho interagito (scolari e persone detenute) ho cercato sempre di esporre fatti e testimonianze personali perché l’esperienza diretta ha un valore educativo insostituibile.
Presento i fatti, invito le persone a esprimere i loro pensieri, a fare delle valutazioni personali, a ragionare su quali potrebbero essere le strade da prendere per migliorare le varie situazioni. Cerco di non esprimere giudizi e di non imporre il mio punto di vista. Offro dei dati, delle informazioni, degli strumenti per capire, collegare e poi mi interessa che ognuno arrivi alle sue conclusioni in piena libertà.

La mia esperienza testimonia quello che ho fatto e come ho affrontato le cose. Ma poi è ogni singola persona che deve decidere in autonomia se, come e quando attivare il cambiamento.

Acquerello di Marco Verdone

Acquerello di Marco Verdone

5. Dopo tanti anni di impegno a favore degli animali di Gorgona, finalmente le tue intuizioni e la tua testimonianza ha portato alla meta finale con la chiusura definitiva delle macellazioni sull’isola. Ciò è avvenuto anche grazie al recente accordo sottoscritto dal carcere con la Lav. Quali sono i punti forti dell’accordo formalizzato nel protocollo di intesa? Quali sono le sue prospettive?

Ci sono voluti decenni di riflessioni, incontri, articoli, libri, conferenze, riunioni, petizioni, missioni, testimonianze, manifestazioni, dibattiti, scontri e confronti per arrivare a un risultato molto semplice dal punto di vista mentale e pratico: l’inopportunità e insostenibilità della presenza di un macello all’interno di una struttura carceraria. Cosa ci faceva un macello in un carcere (ma anche cosa ci fa un macello nella nostra società esterna, quella cosiddetta civile)? Cosa ci fanno attività di sfruttamento e morte in un luogo deputato, secondo la nostra Costituzione (art.27), a rieducare e a migliorare le persone recluse? Com’è possibile rieducare qualcuno (magari recluso per reati di sangue) coinvolgendolo, direttamente o indirettamente, nell’uccisione di un altro essere vivente, indifeso, “innocente” e spesso anche attore di una relazione di amicizia interspecifica?

Dopo aver faticato per far comprendere l’importante ruolo della relazione in carcere con un’Alterità non umana (inclusi i vegetali), come continuare a tradire questo patto di inedita amicizia? Le domande, come si intuisce, erano tante e negli anni non ho mai smesso di porle e di sforzarmi di trovare soluzioni pratiche. La storia è lunga e nel 2018 l’abbiamo, per esempio, raccontata nel volume collettaneo Salvati con nome, che ho avuto l’onore e il piacere di curare e di realizzare insieme alla prof. Silvia Buzzelli, docente di diritto penitenziario a Milano Bicocca e ad altre persone amiche.

La svolta decisiva è avvenuta nell’ultimo anno (2019), quando si sono congiunte una serie di circostanze favorevoli, tra le quali il ritorno a dirigere le carceri di Livorno e di Gorgona (sezione distaccata del capoluogo) da parte di Carlo Mazzerbo, quel direttore con il quale nel 1989 iniziò tutto. Mazzerbo si era sempre dichiarato favorevole a questo cambiamento, sia attraverso incontri pubblici che diversi scritti (segnalo il suo interessante capitolo in Salvati con nome dal titolo esplicito “L’isola dei diritti estesi a tutti”).

Un ruolo importante in questo ultimo tragitto lo ha rivestito anche Giovanni De Peppo, garante dei diritti delle persone detenute del comune di Livorno, attento anche alle istanze dei reclusi non umani, che ha svolto una delicata mediazione tra l’amministrazione penitenziaria e gli altri attori in gioco: l’amministrazione comunale, il Ministero della Giustizia con il sottosegretario Vittorio Ferraresi (venuto in Gorgona nel maggio 2019), il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, la Lav e l’università di Milano Bicocca. Grazie a l’impegno di tutte queste figure e soprattutto della Lav che da anni ha sostenuto il progetto di Gorgona (inizialmente anche insieme ad altre associazioni come Ippoasi e Essere Animali), il 21 gennaio 2020 è stato firmato un “Protocollo d’intesa tra comune, Casa circondariale e Lav, per la ripresa delle attività̀ di rieducazione dei detenuti, in chiave etica, ambientale e della relazione tra uomini e animali”. Poiché non lavoro più in Gorgona dal 2015 e non ho seguito direttamente l’iter del protocollo d’intesa rimando al sito della Lav e ai suoi comunicati stampa per ulteriori e più precise informazioni.
In ogni caso, la Lav a fronte della sospensione definitiva di ogni macellazione, lo smantellamento del relativo macello e il blocco delle riproduzioni, si prenderà carico anche economicamente degli animali, provvedendo inoltre a un loro parziale trasferimento presso idonee strutture ad essa collegate per alleggerire il carico di soggetti sull’isola.

Si tratta di un evento inedito e importante perché mai accaduto prima anche per le modalità e le fasi puntualmente documentate nel tempo. Gorgona sarà il primo luogo pubblico dove, in virtù di un percorso travagliato e condiviso, ha prevalso il buon senso, ovvero l’ovvia necessità etica, ecologica e di salute di chiudere per sempre un luogo di sofferenza, violenza e di profonda diseducazione oltre che insostenibile dal punto di vista ambientale ed economico.

Conosco per esperienza diretta cosa significhi tutto questo in termini di equilibrio mentale, emozionale e spirituale. Infatti, nel 2014, sempre con il direttore Carlo Mazzerbo, era stata interrotta per un periodo la macellazione degli animali per motivi igienico-sanitari. Ho vivamente impressa nella memoria quella sensazione di pace che si respirava camminando sull’isola mentre si “concedeva” una tregua agli individui animali presenti e che, con non poca fatica, ero anche riuscito (anche insieme al mio collega agronomo Francesco Presti) a liberare totalmente. 
Ricordo le resistenze interne a questa decisione ma soprattutto, ed è ciò che più mi interessa, gli scambi con le persone detenute che iniziavano a prendere coscienza di un cambiamento di prospettiva. Per la prima volta, sperimentavano l’alleggerimento di un peso morale inespresso e inesprimibile. Un carico, per certi versi, fino ad allora anche inconsapevole. Molte persone detenute iniziavano a liberarsi dall’incombenza di vedere uccisi molti dei loro compagni di lavoro e di vita. E questo allargava gli orizzonti esistenziali, permettendo loro di inaugurare un nuovo viaggio verso quei territori della speranza e del cambiamento radicale nella direzione e nello spirito del rispetto della vita di chiunque sia diverso da noi. Quella fase fu illuminante perché, senza retorica, vivevamo in prima persona l’attuazione del dettato costituzionale: favorire il ripensamento delle relazioni di forza tra noi e altri soggetti più deboli (in questo caso gli animali non umani).

Noi operatori ci ritenemmo privilegiati e responsabili nello stare accanto a queste persone che muovevano i primi passi in un mondo che fino ad allora si pensava irraggiungibile.
Ma, nonostante l’interruzione piuttosto brusca, sapevamo finalmente possibile. In seguito, abbiamo dovuto aspettare altri 5 anni affinché ciò accadesse in modo compiuto e definitivo.
La mia speranza è che quel viaggio di rieducazione verso la conoscenza e il rispetto profondo dell’Alterità non umana (vegetali compresi) possa quindi ora essere ripreso con maggiore stabilità, convinzione e partecipazione così come era stato sognato all’interno di un laboratorio di buone pratiche nella relazione umano-non umano e in un’isola dei diritti estesi a tutti.

6. Recentemente hai elaborato una mappa concettuale che hai definito “La corona immunitaria del virus”. A mio parere, presenta dei punti di contatto anche con le tue considerazioni più generali legate alla cura degli animali. Come è nata questa mappa e che cosa ti ha spinto a immaginarla in questo modo?

Come tutti, sto seguendo con grande attenzione tutta la complessa e dolorosa vicenda della pandemia da coronavirus. Anche per questo (epi)fenomeno cerco di adottare una visione globale e di tentare di capirne l’origine, l’evoluzione e il senso ultimo. Non ritengo il virus il nostro nemico e non vorrei adottare un approccio e un linguaggio bellico. Questo virus, come tutti i microrganismi si sviluppano causando malattie visibili ma non sono “il” problema, bensì evidenziano “un” problema. Se non ci fosse la disponibilità del terreno di coltura, vale a dire il macro-organismo dell’ospite vivente, il micro-organismo o non si insedierebbe o non svilupperebbe malattia. Ma a monte, c’è un altro aspetto, ormai ben documentato (fatto salve le ipotesi di ingegneria molecolare in laboratorio). L’epidemia, poi diffusasi e classificata come pandemia, è il risultato di un’alterazione ecologica riguardante aspetti come la deforestazione, l’avanzamento urbanistico e soprattutto le inenarrabili atrocità e illegalità che avvengono nei confronti di molti animali selvatici (e domestici) che sono catturati, stipati, macellati, venduti e consumati in quel luogo – affollato e privo di ogni precauzione igienico-sanitaria – rappresentato dai cosiddetti “mercati umidi“ (wet market) del sud est asiatico (come l’ormai tristemente noto mercato di Wuhan).
A fronte di tutto quello che sappiamo, leggiamo e ascoltiamo, il martellamento mediatico-istituzionale è tutto concentrato sul distanziamento sociale, la pulizia delle mani e l’uso delle mascherine.

Avverto il silenzio di voci istituzionali nei confronti di tanti aspetti di prevenzione primaria che andrebbero divulgati e approfonditi.
Trovo inspiegabile perché non si cerchi di focalizzare l’attenzione sul rafforzamento del sistema immunitario della popolazione, meglio ancora di tutto il sistema psico-neuro-endocrino-immunitario (Pnei).
Per inciso, tra le tante cose che non capisco in questa faccenda, sottolineo anche il fatto che mentre restano chiuse le librerie, rimangono aperte le macellerie. Mentre chiudiamo i piccoli negozi che già facevano fatica a sopravvivere, continuiamo a mantenere attive le fabbriche di armi! Cos’è più utile per il nostro essere? Quale di questi aspetti è più collegato alla genesi della malattia? Quale di questi ambiti genera più salute o malattia?

Librerie chiuse_2A fronte, quindi, di questo vuoto preventivo, un giorno ho pensato a cosa avrei fatto o proposto per affrontare la questione della salute di questo periodo (e in generale di sempre). Così è nata una sorta di schema che ho chiamato Mappa concettuale come stimolo a riflettere su tutti gli aspetti interconnessi (la corona) che potrebbero rendere più forte ed equilibrato il nostro sistema corpo-mente-spirito, individuale e collettivo.

Il modello di salute che ho adottato ormai da alcuni decenni pone al centro la persona umana o, nel mio caso, l’essere animale non umano (nonché la relazione tra di loro). I microrganismi ne sono un corollario e non assumono l’importanza che viene attribuita dalla medicina ufficiale che li pone come causa prima della maggior parte delle malattie umane e veterinarie. Essi sono la conseguenza della malattia dell’Umano e non la causa. Lo stato di malattia è una condizione dinamica risultato di relazioni visibili e non tra le varie parti costituenti l’individuo nella sua complessità armonica (non meccanicistica). Come scrive Samuel Hahnemann, “il più alto ideale di cura è la restaurazione rapida, dolce, duratura della salute ovvero la rimozione della malattia nella sua totalità nel modo più rapido, più sicuro e più innocuo, secondo principi facilmente comprensibili” (Organon, par. 2). Si tratta di un ribaltamento del paradigma riduzionista in cui l’individualità del singolo soggetto malato assume una centralità solare, manifestando modalità di esprimere la malattia originali e decisive per la scelta del giusto e personale percorso di guarigione.

MAPPA concettuale covid19_28.03La mappa, quindi, affonda le radici nella medicina olistica e in un rapporto sostenibile e nonviolento con gli altri abitanti del pianeta. Si tratta di uno schema ovviamente perfettibile il cui filo conduttore è il collegamento tra tutte le parti in gioco con l’idea che la salute individuale è sempre un fatto anche collettivo e che la salute di una parte non può pensarsi a danno di un’altra. Si tratta di una schematizzazione, anche un po’ grossolana, che andrebbe sviscerata e spiegata punto per punto prendendosi tutto il tempo necessario.

Acquerello di Marco Verdone su cartone riciclato

Acquerello di Marco Verdone su cartone riciclato

7. Adesso siamo in pieno allarme da epidemia. Una delle poche cose certe è che è data dal consumo umano di carne animale -quali animali, non ha importanza. Questa battuta di arresto ci costringe a osservare noi stessi, a cogliere i cambiamenti del mondo e le reazioni degli animali alla nostra assenza. Molti sembrano mal sopportare un regime di ‘reclusione domiciliare’, senza essere consapevoli che in realtà imponiamo ben di peggio e ben più a lungo – da decenni o anche da secoli – agli animali. Come potremo avere ‘occhi diversi’, occhi nuovi, quando ci sarà il ‘dopo’? Avremo la convinzione di cambiare sguardo e comportamenti?

Questa è la domanda delle cento pistole!

Il concetto è che dobbiamo cambiare ora (se non ieri!), non aspettare la fine di chissà cosa, ma già essere attivi nel cambiamento.
 Lo dobbiamo per forza di cosa capire, interiorizzandolo tutti o quasi.
Non dobbiamo perdere tempo. Il cerchio si stringe e il pianeta si sta sovrappopolando di umani, di sostanze dannose e di azioni violente. Nel frattempo, si stanno riducendo le risorse primarie. Dobbiamo urgentemente rivedere i nostri stili di vista. Ripensare la convivenza sul pianeta dalle radici.
Stiamo sperimentando una sorta di reclusione forzata che non tanto disturba per il nobile fine ultimo (la tutela della salute pubblica) ma per le modalità non chiare, a volte contraddittorie e, secondo alcuni, anche ritardatarie delle misure di prevenzione. Infastidisce l’essere sorvegliati a vista e doversi muovere con dei salvacondotti che cambiano ogni giorno. Insomma, si stanno applicando logiche coercitive perché non siamo in grado di sentirci popolo unito, responsabile e con un maturo senso civico (d’altra parte l’educazione civica è stata eliminata dagli insegnamenti scolastici). Ma di fondo, restano molte cose in sospeso e avvolte nel mistero a partire dalle vere cause di questa epidemia, alle statistiche, al tipo di cure allopatiche adottate e alle misure di prevenzione primaria che, come dicevo sopra, dovrebbero mirare a rafforzare il sistema immunitario (in generale quello Pnei) dell’ospite e non sollo a pensare di sconfiggere un nemico come se stessimo in guerra e dovessimo usare armi di distruzione (cosa che stiamo continuando a produrre contro altri esseri umani!).

In ogni caso, l’arresto delle nostre attività, a parte i danni economici per i soggetti più deboli, ci impone un momento di riflessione, di ripensamento dei nostri valori e delle nostre priorità.
Nel contempo, ognuno di noi sta osservando dei cambiamenti, anche minimi della natura che, in modo anche un po’ inaspettato, sta reagendo con una sorta di riappropriazione degli spazi vitali da parte degli animali e con un certo miglioramento di alcuni parametri ambientali. Questa è certamente un motivo di speranza e di fiducia nelle capacità rigenerative della natura nel suo complesso quando si lasci autoregolare senza oppressioni, interferenze e invasioni.
In realtà, alla luce dei dati scientifici ed epidemiologici delle maggiori epidemie e pandemie note, la causa è sempre riconducibile alla relazione con le altre specie animali e agli ecosistemi. Ritengo necessario allargare lo sguardo e assumere l’analogia tra quello che capita nel singolo individuo e quello che stiamo causando come specie sul pianeta.
 Il virus sta a noi e al nostro sistema respiratorio come noi stiamo al pianeta e ai suoi polmoni verdi, le foreste. Non stiamo forse agendo su queste ultime allo stesso modo con il quale il virus si comporta con i nostri polmoni? Non è abbastanza evidente questa similitudine?

Noi leviamo ossigeno al pianeta e il virus lo leva a noi. È così difficile capire qual è la direzione giusta da prendere e le misure immediate da adottare?
La piantiamo di abbattere piante e animali e vogliamo iniziare a seminare e piantare alberi?
Il perché noi, umani adulti, pur sapendo di sbagliare e pur conoscendo le soluzioni giuste, non cambiamo e né le realizziamo, resta un mistero antropologico da risolvere.
 Le vere cause, quindi, sono quasi certamente legate alla rottura del nostro equilibrio con gli ecosistemi naturali e con molte specie di animali non umani.
In particolare, il cosiddetto “salto di specie” (l’ormai noto spillover) è con ogni probabilità legato alla cattura, trasporto, commercio (spesso illegale), macellazione e ingestione di animali  selvatici (o parti di essi) in promiscua commistione con quelli domestici in luoghi (c.d. “mercati umidi” , etc.), di inverosimili condizioni igienico-sanitarie oltre che di assoluta mancanza di rispetto e compassione per gli esseri viventi/senzienti venduti e spesso brutalmente uccisi e cucinati (anche vivi) sul posto.

A tutto ciò vanno aggiunte le profonde alterazioni di ecosistemi sensibili, la riduzione di biodiversità, la deforestazione selvaggia e, sullo sfondo, il gravissimo e planetario scenario dei cambiamenti climatici che, pur essendo il problema più grave che l’umanità dovrà affrontare in senso globale, non sembra suscitare lo stesso interesse che stiamo dedicando per la circolazione del nuovo coronavirus.

Ma è nella relazione tra l’umano e gli altri animali che gli aspetti sanitari si intrecciano con quelli etici, ambientali, conservazionistici, economici e culturali.
 Questo è un grave problema di cui non sarà mai abbastanza l’attenzione che dovremo riporvi.
Come scrive David Quammen in Spillover (Adelphi, 2012, p. 42) “Che sia chiaro da subito: c’è una correlazione tra queste malattie che saltano fuori una dopo l’altra, e non si tratta di meri accidenti ma di conseguenze non volute di nostre azioni. Sono lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria”.
Ormai è scientificamente provato che “circa il 70% delle malattie infettive emergenti e quasi tutte le pandemie recenti, hanno origine negli animali (la maggior parte nella fauna selvatica) e la loro emergenza deriva da complesse interazioni tra animali selvatici e /o domestici e umani”.

Se ne parla poco in termini di “vere cause” perché si tratta di un tabù culturale ed economico che siamo restii ad affrontare.
Alla radice di tutto ciò si pone un atteggiamento di Homo sapiens definito “carnismo” (terminologia introdotta dalla sociopsicologa Melanie Joy) con il quale si indica “quel sistema di credenze che condizionano nel mangiare certi animali (…), un’ideologia particolarmente refrattaria a un esame approfondito” (Melanie. Joy, Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo lemucche. Un’introduzione al carnismo e un processo alla cultura della carne ealla sua industria, Sonda 2012).
Attorno a questo comportamento esiste una robusta cornice antropologica, filosofica, psicologica, economica, culturale, scientifica, giuridica e politica che lo sostiene e lo giustifica. Ciò rende spesso difficile ogni tentativo di discussione, analisi critica e volontà di risoluzione.

Non so se riusciremo a non essere più gli stessi e a rivedere in chiave critica le relazioni con i non umani oltre a considerare modelli di salute, economici e sociali alternativi a quelli dominanti. 
Continuiamo a restare vigili con la consapevolezza, però, che l’esperienza delle leggi di guarigione ci insegna che se questa lezione del virus con la corona non sarà servita a nulla, dovremo affrontarne altre probabilmente anche peggiori. ⊗

Marco e mucca nera

Note biografiche

Marco Verdone è un medico veterinario omeopata. Cresciuto in una famiglia di creativi, con una mamma insegnante delle scuole primarie, padre e un nonno pittori, si è sempre occupato in vari modi di didattica. Ha lavorato per un quarto di secolo come responsabile veterinario della Casa di reclusione dell’isola di Gorgona (LI). In questo luogo ha approfondito la relazione tra esseri umani in difficoltà e soggetti non umani presenti. Inoltre, ha partecipato a una ricerca sul randagismo canino nel Parco Nazionale d’Abruzzo e ha realizzato un corso di formazione di medicina omeopatica nei campi profughi Saharawi (Sahara algerino). Nel 2015 è intervenuto al TEDx LakeComo con la conferenza Peace with non human animals. Nello stesso anno riceve il premio letterario ‘Firenze per le Culture di Pace’ per la sezione ‘Progetto di pace’.
Attualmente lavora presso il Servizio Veterinario dell’Azienda Asl Toscana nord ovest dove, da alcuni anni, sta sviluppando, insieme al settore dell’Educazione e Promozione della Salute, il progetto scolastico ‘Il Mondo e gli Altri Animali’.
Provenendo dall’esperienza della ri-educazione condivide una visione biocentrica e l’equazione: Prevenzione = Educazione.
Altri suoi libri sono: Il respiro di Gorgona, Ogni specie di libertà, L’isola delle bestie. I suoi contributi sono altresì nei testi collettanei I giorni scontati, Salvati con nome e Noi e loro.

Per le scuole ha anche scritto Il decimo vitello (2019) e un altro è in gestazione.

Materiali di approfondimento sui temi di cui si occupa sono disponibili sul sito www.ondamica.it
Contatti: info@ondamica.it
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Le immagini sono della fotografa e giornalista salisburgese Rachele Z. Cecchini che nel 2014 ha realizzato due suggestivi reportage fotografici sull’isola di Gorgona.
Qui alcuni articoli su Gorgona con le sue immagini:
– Valentina, la mucca zen / Focus Wild
– Intervista di Antonio Priolo a Marco Verdone / RE NUDO
 GORGONA, un sogno sospeso / QuattroZampe
Articolo sulla rivista tedesca Veganmagazin
Articolo sulla rivista tedesca DOGS
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(*) senza alcuna premeditazione, il giorno in cui è stata pubblicata questa intervista (8 aprile 2020) coincide con il giorno della laurea di Marco Verdone (8 aprile 1987). A distanza di 33 anni, per quest’ultimo è un segno indicativo.

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