Anacronismi Medievali. Non basta respirare per poter dire di essere vivi / di Francesco De Giorgio

Perché esistono ancora manifestazioni come la Sagra degli Osei e ad altre manifestazioni che si appellano alla tradizione, quella tradizione che affonda in particolare le sue radici nell’abuso animale? Risposta semplice: perché spesso l’abuso non si vede o meglio si sceglie di non vedere. Infatti non basta respirare per poter dire di essere vivi, come non basta cantare per dire di essere sani e come non basta non morire per poter dire di essere veramente vivi.

L’abuso infatti viene perpetrato spesso in forme invisibili, nascoste dietro un velo di apparente normalità: perché non basta assicurare acqua, cibo e gabbie più grandi per dire di assicurare benessere e rispettare la vita animale. Ci vuole altro, ci vuole un forte impegno etico, civico e politico che si adegui ad un processo di cambiamento in corso, anche nell’ottica di una migliore comprensione del benessere e della qualità di vita di specie e individuale. Infatti si tratta di capire non solo i bisogni base di un individuo, ma anche i suoi piaceri ed in questo senso quello che piace viene spesso misinterpretato: ad un cavallo piace correre ad un palio, ad un toro piace combattere in una corrida, ad un cane piace fare gare di obbedienza, ad un uccello piace cantare alla Sagra degli Osei. Interpretiamo il concetto di piacere attraverso un’ottica antropocentrica, deformata quindi da quello che per noi e solo per noi significa piacere, approccio discutibile anche tra umani, in quanto anche ognuno di noi in quanto individuo ha interesse a vivere piaceri diversi. In molti contesti, anche internazionali, si parla del valore intrinseco del non-umano, non in quanto fonte di intrattenimento, addestrato per, al servizio di, di supporto a, selezionato per, ma in quanto soggetto con un suo mondo di percezione, emozione e cognizione, con propri bisogni e propri piaceri, sia nella sfera individuale che sociale.
Anche la sfera sociale risulta essere importante questione aperta da tenere in considerazione: ogni animale vive infatti, con modalità che variano di specie a specie, anche un suo dialogo con il suo mondo sociale di riferimento ed in questo senso l’assenza di un contesto sociale, come l’eccessiva presenza di un contesto sociale che io definisco come flooding sociale, anche a causa delle condizioni innaturali di vita in gabbia, apportano significativi elementi di malessere per quella specifica specie, per quello specifico individuo.
Uccelli, cavalli, cani ed altre specie, trascinati in queste manifestazioni, strappate dal loro contesto sociale stabile di riferimento, possono essere a rischio implosione, con effetti collaterali visibili, ma anche invisibili e che spesso colleghiamo erroneamente a caratteristiche individuali e a problematiche individuali, quando invece derivano da contesti e attività inappropriate.
Il futuro, per quello che vedo lavorando da un punto di vista d’avanguardia, porterà tali manifestazioni non ad essere riformate con gabbie più grandi, con spazi più a misura di animale, con piste meno pericolose e con corride più gentili, ma con una totale riconversione di queste iniziative senza alcun coinvolgimento forzato e forzoso della parte non-umana del mondo. Comprendere questo diventa fondamentale, per non scambiare punti di vista moderni per estremismi, per non scambiare l’etica per qualcosa di noioso e per non scambiare una gabbia con il cielo.
Le nuove generazioni non avranno bisogno di fiere, di tradizioni e momenti sociali che abusano di altri animali, avranno invece bisogno di osservare squarci di libertà, non solo fisica ma anche e soprattutto mentale; i ragazzi del domani non avranno bisogno di vedere fisicamente un animale chiuso in gabbia per conoscerlo, ma anche pensare a quell’animale mentre vive una sua vita percettiva, emozionale, mentale e sociale lontano da ogni fiera, e se proprio ne ha voglia andarlo ad incontrare dove quell’animale possa esprimere davvero la sua libertà mentale, anche in una diversa coesistenza con l’animale umano. Ed in questo senso non va ricercata l’integrazione del non-umano nella società antropica, ma vanno esplorate le opportunità di rinselvatichimento cognitivo dell’umano, ritornando ad entrare in contatto con il nostro lato non-umano, perché solo in questo modo possiamo veramente ricongiungerci con gli altri animali e in definitiva con noi stessi.
Per queste e molte altre ragioni dico no alla Sagra degli Osei di Sacile.

Francesco De Giorgio

 Francesco De Giorgio è un biologo, specializzato in cognizione animale, ma anche un uomo pratico che vive con una banda di otto cavalli, quattro cani e due gatti, insieme a sua moglie José Schoorl, presso la loro fattoria nei Paesi Bassi. Francesco è docente e ricercatore indipendente in cognizione animale, supportando diversi atenei internazionali. Membro di diverse società scientifiche, culturali, di critical animal studies e che trattano la relazione tra gli umani e gli altri animali. Componente del Comitato Etico ISAE (Società Internazionale di Etologia Applicata). Consulente della Polizia Olandese, nei casi di maltrattamento animale e nei percorsi di recupero cognitivo post-abuso.

Fonte: http://www.nosagraosei.org/anacronismi-medievali/

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