L’isola verde dei “diritti estesi a tutti”: il carcere di Gorgona / Intervista al direttore Carlo Mazzerbo di Francesca Petrucci

L’isola verde dei “diritti estesi a tutti”: il carcere di Gorgona –
Intervista al direttore Carlo Mazzerbo

di Francesca Petrucci
Fonte: http://manidistrega.it

Non avete sbagliato rubrica, e io non ho preso “un granchio”… lo so sembra strano: che cosa ci fa un articolo su un carcere in una rubrica che parla di animali? Se avrete la pazienza di leggere le prossime righe non solo vi sarà tutto chiaro, ma credo che scoprirete qualcosa di molto interessante e che spesso ci immaginiamo molto diversa… la realtà di un carcere la cui finalità è: «Restituire persone migliori». Come sia possibile lo chiediamo alla persona che ne è il direttore: il dott. Carlo Alberto Mazzerbo.

Carlo (Alberto lo omette lui per primo quindi mi sento autorizzata) Mazzerbo l’ho conosciuto in occasione della vicenda della maialina Bruna, che poi è diventata oggetto del libro Bruna, una maialina per amica, insieme a Marco Verdone, che opera come veterinario omeopata sull’isola dal 1990. Mazzerbo era già stato in Gorgona, c’ha passato 15 anni per l’esattezza, poi altri due (2008-2010) e, infine, dall’ottobre 2013 è tornato a dirigere quel carcere, o meglio la “casa di reclusione” (oggi sezione distacca della casa Circondariale di Livorno) che occupa cielo, terra e mare di questa che è la più piccola delle isole dell’Arcipelago Toscano. Attiva dal 1869, si tratta di un istituto ad indirizzo “agro-zootecnico”: 220 ettari di superficie con prevalenza di bosco e di macchia mediterranea. I detenuti, che sono oggi 70, devono rispondere ad alcuni requisiti giudiziari, comportamentali, sanitari e professionali per potervi accedere; spesso si tratta di persone al termine del loro percorso detentivo. Tutti lavorano e sono remunerati, in carcere possono imparare un mestiere legato alle seguenti attività:agricoltura (svolta in orti, oliveto, vigna, prati-pascoli), gestione degli animali domestici(bovini, ovicaprini, suini, volatili, equini, api); i detenuti sono inoltre impiegati in officine varie, falegnameria, edilizia, panificio… Sono presenti caseificio, macello (per ora fermo), cantina, frantoio per le olive. Inoltre c’è un impianto di dissalazione, di fitodepurazione e fotovoltaico. Insomma, questo carcere è in realtà un vero e proprio laboratorio a cielo aperto ma non solo… Direi però di approfittare della disponibilità del direttore Mazzerbo che segue e indirizza tutte le attività di questa che, a ragion veduta, viene considerata una realtà d’eccellenza, un esempio, un faro verso il quale poter guardare…

Come si svolge la giornata “tipo” di un detenuto sull’isola?

Ogni detenuto ha una sua mansione lavorativa per cui normalmente la sveglia è alle sette e alle otto inizia il lavoro. L’orario è di 5 ore. I detenuti raggiungono il posto di lavoro, mentre gli agenti effettuano i loro controlli. Chi ha funzioni particolari esce in orari diversi – chi fa il pane, chi accudisce gli animali, per esempio, esce alle 5 o alle 6. Poi c’è il pranzo che si svolge nelle mense e viene preparato da altri detenuti: si mangia tutti insieme. Tranne chi fa lavori particolari, gli altri rimangono poi nella sezione, dove c’è la biblioteca, la sala musica, il campetto sportivo e socializzano tutti insieme. Durante il pomeriggio ci sono le attività pomeridiane con gli educatori, stiamo anche organizzando un corso di fotografia e uno di inglese. C’è un grande refettorio dove viene preparata la cena. Poi alle nove c’è la chiusura delle stanze, che sono doppie o singole. Ci sono due reparti: il primo ha 19 posti e ospita i detenuti che godono di maggiore libertà (art. 21) e possono quindi gestirsi con maggiore autonomia; nel secondo reparto invece c’è un agente che chiude le porte.

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Qui, oltre a poter vivere all’aperto, i detenuti hanno la possibilità di imparare un mestiere. Che cosa significa per loro?

È fondamentale. Il lavoro è uno degli aspetti più importanti del trattamento. I detenuti, lavorando, guadagnano qualcosa per essere autonomi rispetto alla famiglia o addirittura per poterla aiutare mandando qualcosa a casa. Imparando un mestiere, acquistano fiducia in se stessi, prendendo coscienza delle proprie capacità; con il lavoro si dà una dignità alla detenzione, è uno strumento importantissimo per un futuro ritorno in società, non solo perché il detenuto lo possa svolgere una volta uscito, cosa che non è detta, ma proprio perché in questo modo possa apprendere il valore del lavoro, concetto fondamentale per la nostra società.

La recidiva per un detenuto proveniente da un carcere qualsiasi è dell’80%, per chi esce da qui si parla del 20%. Quali sono le motivazioni?

Chi finisce la pena lavorando ha un abbattimento di recidiva e su questo non ci sono dubbi. Noi non abbiamo statistiche ufficiali proprie della nostra realtà, però posso dire che offrire delle occasioni di riscatto concrete è importantissimo. La pena, secondo il nostro punto di vista, deve essere anche un progetto di vita per chi deve tornare in società: questa è la vera scommessa.

La particolarità di quest’isola è dettata anche dalla presenza di animali, quanti e quali sono?

Sull’isola ci sono quasi tutti gli animali definiti “da fattoria” anche se abbiamo avviato una riflessione circa il loro status cercando di superare attribuzioni produttive.Ci sono poco più di 50 bovini, circa 170 ovicaprini, una quarantina di maiali, oltre 200 avicoli. È sempre stata una presenza importante quella degli animali qui. Inizialmente la finalità era quella di migliorare la qualità di vita delle persone presenti sull’isola. Oggi vorremmo che diventassero non tanto soggetti di produzione, ma di trattamento. Abbiamo riscontrato concretamente che tutti coloro che si prendono cura degli animali hanno un’evoluzione molto più positiva, si registrano cambiamenti importanti, soprattutto per chi non ha mai lavorato o avuto a che fare con gli animali. Sono proprio loro infatti ad “insegnare” il senso di responsabilizzazione, l’importanza dell’accudimento e del rispetto reciproco.

La produzione di vino con l’azienda Frescobaldi (il bianco di Gorgona), per fare un esempio, ha fatto di questa colonia penale un vero e proprio laboratorio di sperimentazioni… ma non solo. Quali sono i progetti attualmente in atto?

Questa collaborazione ci ha dato una grande visibilità esterna, oltre a un aiuto economico non da poco. L’idea, il progetto è quello di ruscire ad aprire l’isola in maniera definitiva a un certo tipo di turismo, alle visite consapevoli. Sarebbe importante trovare partner esterni che possano aiutare nella gestione delle attività, magari assumendo direttamente i detenuti, creando così una continuità tra la realtà di detenzione e la dimensione lavorativa vera e propria.

Sono moltissime anche le visite esterne, che scopo hanno? che cosa si può visitare e come ci si prenota?

Sono molto importanti. Chi viene a farci visita si trova davanti a una visione di un mondo, quello della detenzione, – sebbene particolare – che solitamente è escluso. Le persone rimangono molto colpite da quello che vedono, visitando oltretutto un posto bellissimo che è giusto che appartega alla collettività. Ci sarà un’azienda che si aggiudicherà il bando per il collegamento all’isola e saranno organizzate visite insieme al comune. La presenza massima sarà di 75 persone, con visite fatte a gruppi di massimo 25 persone, con la presenza di una guida ambientale (ricordiamo che l’isola di Gorgona fa parte del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, ndr).

Tornando agli animali, a partire dagli anni Novanta, insieme al dott. Verdone (veterinario omeopata che si occupa degli animali sull’isola) è stata intrapresa una strada precisa volta all’acquisizione di una consapelovezza nuova verso il mondo degli animali: di che percorso di tratta esattamente?

È un percorso che ovviamente non dipende soltanto dalla nostra volontà, ma io mi auguro davvero che possa andare a buon fine. Di fatto il numero degli animali deve essere ridotto, sia per un fattore di costo che perché l’isola è piccola e non ha spazi di pascoli. L’idea appunto è quella di valorizzare gli animali non come “fonte di produzione”, ma come “cooperatori del trattamento” e quindi interrompere definitivamente la macellazione che avviene direttamente sull’isola. Le norme sulla lavorazione delle carni sono sempre più severe,  e questo è un problema, ma il punto di vista più importante è senz’altro quello del trattamento. Oggi non è più il detenuto ad uccidere l’animale, come avveniva prima (c’è la figura di un “abbattitore” che ha un patentino ad hoc per farlo), ma di fatto per il detenuto, che assiste, che poi lavora la carne, si tratta di un’esperienza violenta che a nostro avviso è molto negativa.

Negli ultimi anni sono stati “graziati” diversi animali, un esempio per tutti la mitica maialina Bruna, dichiarata animale rifugiato sull’isola e “cooperatore del trattamento”. Quale è la finalità cui si pensa di arrivare?

La finalità è appunto quella di ridurre il numero degli animali, eliminandone la macellazione, per fare una piccola azienda didattica sociale in cui gli animali siano elementi integranti dell’attività di recupero e di rieducazione dei detenuti.

Desidero ringraziare oltre al direttore Carlo Mazzerbo per la sua disponibilità, il dott. Marco Verdone per la collaborazione preziosa alla stesura dell’intervista.

Le foto sono tratte e gentilmente concesse dal sito www.ondamica.it 
Francesca Petrucci è Autrice del libro Bruna: una maialina per amica (MdS editore) 

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