Spazi demercificati / di Alberto Zoratti

Spazi demercificati
di Alberto Zoratti
(Fonte: http://comune-info)

La Costituente itinerante dei beni comuni, presiduta da Stefano Rodotà, dopo Roma e L’Aquila ha fatto tappa a Pisa (foto), all’ex colorificio. L’inedito intreccio tra movimenti e giuristi raccoglie idee, pratiche, analisi, proposte. E mostra come intorno agli spazi sociali occupati e liberati piuttosto che nella resistenza alle forme più arroganti e moderne di proprietà privata (Tav, imprese inquinanti come Ilva ma anche, a livello internazionale, brevettazione del vivente, privatizzazione dell’acqua…) sia nato qualcosa di nuovo e importante: lo sforzo di tanti e tante nello sperimentare ora relazioni e spazi non mercificati. Un brutto colpo per il dominio della proprietà.

C’era una volta Junghanns, presidente della J Colors ed astioso proprietario dell’ex colorificio toscano, e una richiesta di sequestro di una serie di capannoni dismessi, vittime di una moltitudine che ha scelto di ridare loro nuova vita. C’era una volta una convocazione in appello di sette testimoni di questa resurrezione, chiamati perché informati dei fatti su una faccenda che non mette d’accordo Pubblici Ministeri e Giudici per le indagini preliminari.

C’era un prima, nella breve ma intensa storia dell’Ex Colorificio Liberato di Pisa, e un dopo, in questo Municipio dei Beni Comuni diventato sede di elaborazione giuridica e partecipazione pubblica. E lo spartiacque è la Costituente dei Beni Comuni, presieduta da Stefano Rodotà ed entrata nei quattordici mila metri quadrati di Pisa un pomeriggio di un primo giugno qualunque.

Ugo Mattei, Gaetano Azzariti, Paolo Maddalena e insieme a loro le realtà in movimento 2.0, quello che nasce dai teatri occupati, dagli spazi liberati ma anche da chi si oppone alla mercificazione dell’ambiente e dei diritti, hanno deciso di scrivere un’ulteriore pagina del percorso verso un nuovo statuto dei beni comuni.

Si è allargato un po’ troppo

Un nuovo quadro di riferimento che rimetta al suo posto il concetto di proprietà privata, che da Locke in poi si è allargato un po’ troppo trasformandosi in un ente quasi metafisico, impossibile da controllare né, tanto meno, da limitare. E se la Costituzione specifica per quanto può la necessità che abbia funzione sociale, e ipotizza strumenti per contenerla in caso di degenerazioni, la realtà in continuo mutamento ci mostra un mondo ben diverso da quello che si vorrebbe dove i profili di tutela della proprietà diventano sempre più stringenti, giocando tra le pieghe del codice civile e rafforzandosi sui tavoli negoziali internazionali per poi ricadere sui territori come meteore. Lo scontro tra interessi privati e potere pubblico è solo apparente, perché la proprietà diventa sempre più oggetto di tutela grazie alla sua capacità di essere soggetto di pressione soprattutto sui governi (nazionali o locali poco importa). La degenerazione della politica ha trasformato la contrapposizione formale tra pubblico e privato in un rapporto di compatibilità se non addirittura di connivenza. E’ quello che succede per la Val di Susa, per la vicenda dell’ampliamento della Tangenziale Est di Milano o in tutte quelle grandi opere dove la Cassa Depositi e Prestiti ha ruolo e denaro.

Ci sono, e ci devono essere, situazioni in cui la proprietà privata perde la sua aura di intoccabilità. Quando diventa improduttiva, speculativa, quando impatta senza ritegno su ambiente e comunità umane. L’Ilva, in questi anni, è la rappresentazione plastica di questa arroganza mentre il ruolo dei poteri pubblici si è ridimensionato ad un livello di quasi sudditanza. Non ci vorrà l’intervento di un «organismo per la risoluzione delle controversie», quegli armamentari legali che nei trattati di libero scambio permettono alle imprese di essere tutelate da leggi scomode, soprattutto se a protezione dell’ambiente e delle comunità. C’è ancora un immaginario non solo italiano che vede nella proprietà il confine da non superare. «Questa è casa mia e ci faccio quello che mi pare», e la diretta conseguenza è una notevole discrezionalità nel devastare territori o spogliarli di senso.

Qualcosa di nuovo

A questa volontà «estrattiva», come dice Mattei, il movimento per i beni comuni oppone una modalità «generativa»: gli spazi liberati, come l’Ex Colorificio di Pisa, generano rapporti umani, relazioni sociali, cultura, nuove economie. Non producono profitti ma creano ricchezza perché l’uscita dagli assetti proprietari, che per loro natura sono esclusivi e quindi escludenti, permette la partecipazione delle persone e la messa a sistema delle intelligenze, per costruire qualcosa di nuovo. Sono le nuove democrazie insorgenti, che rompono la legalità per affermare ciò che è legittimo: spazi demercificati e democratici.

E’ un’onda che cresce, lentamente ma senza risaccare. Il Valle occupato ad aprile, quindi L’Aquila, ora Pisa, domani il Veneto, nuovamente Roma e poi chissà. Il 20 giugno si riunirà la Commissione «redigente» per cominciare a mettere nero su bianco le sollecitazioni, le esperienze e le idee emerse da un arcipelago in mobilitazione. La giurisprudenza e il movimento si incontrano e scelgono di camminare insieme: nel mondo della brevettazione del vivente, della privatizzazione della natura e della mercificazione dell’acqua è una cosa che non ci si può permettere di ignorare.

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