Libri: “I giorni scontati”, appunti su un serraglio chiamato carcere

Libri: “I giorni scontati”, appunti su un serraglio chiamato carcere
recensione di Francesco Zacché
Il Manifesto, 24 gennaio 2013

“Chi si punisce, perché si punisce, quando si punisce, come si punisce?”. In un perverso cortocircuito securitario, l’opinione pubblica esige pene immediate ed esemplari nel non luogo carcere, mentre la politica persevera nel criminalizzare il terrorista, l’immigrato, il tossicodipendente, il diverso o l’ostile. Di qui, l’odierno paradosso: lo Stato sceglie di neutralizzare i corpi, li rinchiude in gabbia, siano essi “in attesa di giudizio” o “definiti”, benché Costituzione e Carte internazionali sui diritti dell’uomo impongano il contrario.
Il risultato è “scontato”: l’Italia non è nemmeno in grado d’assicurare uno spazio minimo di tre metri quadrati a detenuto; il sovraffollamento carcerario pone il nostro Stato al di fuori degli standard minimi riconosciuti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, tanto che la stessa Corte di Strasburgo ha recentemente ordinato al Governo di rimediare a siffatto trattamento disumano e degradante.
In tale cornice, si rivela un prezioso strumento di riflessione sui problemi e sulle dinamiche penitenziarie il libro collettaneo I giorni scontati. Appunti sul carcere (Sandro Teti Editore, pp. 205, euro 20), curato da Silvia Buzzelli, professore di diritto penitenziario e di procedura penale sovranazionale presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, con i contributi d’un qualificato gruppo d’operatori e studiosi del pianeta giustizia: Mauro Palma, Claudia Pecorella, Fabio Cassibba, Elena Lombardi Vallauri, Stefania Mussio, Elena Zeni, Ercole Ongaro, Marco Verdone, Massimo Filippo e Luigi Lombardi Vallauri; a cui si aggiunge il documentario (allegato in dvd al libro) diretto da Germano Maccioni sulla realtà del carcere di Lodi, cui fa da contrappunto la narrazione di Francesco Maisto (presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna) che, in forza della sua pluridecennale esperienza umana e professionale, accompagna lo spettatore nei meandri del sistema-carcere. Strutturato come raccolta d’appunti, il volume offre molteplici spunti sulle ragioni profonde che generano la bulimia penitenziaria.
Al tempo stesso, non si sottrae all’impegnativo compito d’indicare le vie da percorrere affinché il carcere possa finalmente dirsi speculum, riflesso della società: come scrive Voltaire, “non raccontatemi della bellezza dei vostri palazzi, ditemi piuttosto come si vive nelle vostre carceri”.
Si rimarca, così, il ruolo effettivo giocato dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti e pene inumani e degradanti (Cpt) nel promuovere il rispetto di chi, per qualunque motivo, sia privato della libertà personale (toccante e emblematica è la testimonianza dell’ultima visita ispettiva svolta da Mauro Palma in veste di presidente del Cpt presso la sezione per stranieri dell’ospedale psichiatrico giudiziario dell’Isola di Malta); si ribadisce l’indifferibilità di riforme in grado di ridurre la recidiva e di “sburocratizzare” la magistratura di sorveglianza; si tracciano le linee per gestire la sicurezza in carcere, uscendo da logiche emergenziali; si rivendica la necessità di puntare sull’individualizzazione e sulla differenziazione del trattamento del detenuto secondo i dettami della Costituzione; a mo’ di paradigma, si racconta la vita del carcere di Lodi, con le sue iniziative aperte alla società, e la sua storia ultracentenaria fatta di luoghi e di persone; si conclude con la questione animale, dall’esperimento sui generis dell’isola-carcere di Gorgona, ecosistema dove il ciclo vitale degli animali d’allevamento è nelle mani dei detenuti, alla lucida denuncia sui parallelismi fra “gabbia animale” e “gabbia carceraria”, fra “carcere” e “mo(n)do in cui viviamo”. Sullo sfondo d’ogni contributo, tuttavia, l’interrogativo è sempre il medesimo: “Come conciliare un’istituzione totale, burocratica con l’obiettivo di punire senza infliggere sofferenza?”. E se fosse giunto il tempo di chiudere, nel senso d’abbandonare, il serraglio?

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