Dalla fattoria sociale dell’isola-carcere di Gorgona la Carta dei diritti degli animali / di Alfonso Pascale

Dalla fattoria sociale dell’isola-carcere di Gorgona la Carta dei diritti degli animali 
di Alfonso Pascale
http://materialiriformisti.blogspot.it
31.12.2012 

Dopo “Il respiro di Gorgona”, straordinario reportage di un’esperienza singolare in un’isola con un carcere – l’ultima in Italia – dove i detenuti svolgono attività di coltivazione e allevamento (leggi qui la recensione su Teatro naturale) Marco Verdone ha dato alle stampe una nuova opera: “Ogni specie di libertà. Il sogno di un mondo migliore per tutti i viventi” (Edizioni Altraeconomia, 2012). L’autore è un medico veterinario omeopata che da oltre vent’anni collabora con l’amministrazione penitenziaria e affianca i detenuti nelle attività zootecniche. Un professionista e, al tempo stesso, un pensatore, che da un punto di osservazione e di partenza insolito come l’isola di Gorgona, ha elaborato una “Carta dei diritti degli animali”, un pro-memoria di riflessioni su quello che – dal nostro punto di vista umano e, dunque, limitato, di parte e non privo di contraddizioni – sarebbe giusto per gli animali. Non è scevro di significato il fatto che la “Carta” sia stata elaborata in un luogo dove i destini reciproci dei reclusi umani e quelli dei reclusi non umani s’intrecciano in modo singolare e profondo. Un luogo dove il lavoro con la terra e gli animali è un laboratorio a cielo aperto di “dignità nella carcerazione”, dove il provare sensazioni ed emozioni si fa più intenso, dove gli animali svolgono a volte un ruolo decisivo per il recupero di persone che potrebbero altrimenti lasciarsi andare e perdersi, dove una persona che ha sbagliato riesce a ridare un senso alla propria vita.

La “Carta” nasce in un contesto istituzionale che vede sempre più l’idea di benessere animale entrare nelle normative e nei codici bioetici. Il Trattato di Lisbona, in vigore dal 2009, ha imposto all’Unione europea e a tutti gli Stati membri di “tenere pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”. E’ pertanto in atto un processo di revisione di tutte le normative comunitarie di settore. In Italia, il Comitato nazionale per la bioetica ha, d’altro canto, elaborato recentemente il Parere “Alimentazione umana e benessere animale”, in cui sono recepiti i nuovi indirizzi emersi dal dibattito internazionale in tema di bioetica animale: da un lato gli orientamenti che valorizzano l’approccio della cura, e quindi della peculiare responsabilità che l’uomo deve avvertire nei confronti degli esseri senzienti su cui esercita potere e di cui si avvale per realizzare propri fini, dall’altro quelli che si rifanno all’approccio neoaristotelico delle capacità, introdotto da Martha C. Nussbaum, e che ritengono possibile applicare tale idea anche al mondo animale, vedendo in questa estensione una nuova frontiera del principio di giustizia. Quest’ultimo documento fa propria l’etica della biocultura, un settore della bioetica che si occupa dei problemi morali relativi al rapporto di gestione da parte dell’uomo di altri esseri non umani e che intende rinnovare il contratto implicito operante per millenni tra umani e animali, spezzato con l’avvento della zootecnia moderna. Uno dei punti fondamentali dell’etica della biocultura è costituito dal legame tra potere e responsabilità. Se alleviamo animali per usare prodotti da loro derivati o i loro corpi, la nostra responsabilità nei loro confronti non solo non diminuisce ma, anzi, aumenta. Riconoscere che questi animali ci rendono dei “servizi”, che li usiamo e che quindi viviamo su di loro e di loro, dovrebbe farci sentire la responsabilità del loro benessere, da assicurare attraverso un trattamento “adeguato” ai servizi da essi resi. Si tratta, dunque, di passare – secondo siffatta visione – da una prospettiva puramente economica a una prospettiva anche morale. In questo quadro, gli animali non costituiscono mere risorse da sfruttare, merce da amministrare razionalmente, ma appaiono come esseri senzienti dotati di propri interessi e bisogni, e meritevoli di tutela e di cura. Come si può facilmente notare, nell’etica della biocultura prevale ancora un approccio utilitaristico, focalizzato cioè soltanto sulla capacità degli animali di “sentire” senza attribuire ad essi alcun diritto alla vita, a meno che l’interesse a continuare a vivere sia uno dei loro interessi coscienti. L’utilitarismo ha avuto il merito di mettere in luce taluni aspetti rilevanti della questione animale, come i maltrattamenti, ma non va oltre l’esigenza di comparare gli interessi animali con quelli umani per misurarne le compatibilità a vantaggio di questi ultimi. Se si passasse all’approccio delle capacità, forse si potrebbe meglio rendere giustizia della complessità della vita degli animali e dei loro sforzi per la fioritura, indipendentemente dagli interessi umani di tipo particolaristico. Il dibattito, assai complesso, è in pieno svolgimento. La “Carta” di Gorgona rappresenta, dunque, un contributo importante per riconoscere il diritto degli animali alla non sofferenza e alla conservazione della vita, espressa nel miglior modo possibile. L’incipit è chiaro e solenne: “Gli animali non sono cose, né sono macchine”. E mette ben in risalto le questioni più controverse che restano aperte. Come si conciliano tali diritti – ad esempio -con la stabulazione degli animali di allevamento e la loro macellazione a fini alimentari, con la caccia e la pesca? Sono questioni che andrebbero affrontate per definire un’etica condivisa che superi la distinzione netta tra animali d’affezione e animali da reddito e stabilisca nuove e più articolate classificazioni. Si tratta, inoltre, di introdurre l’uso di metodi ecologici per contenere gli animali sinantropici: piccioni, roditori, invertebrati vari che rappresentano anche importanti indicatori ambientali. Il volume raccoglie pure i contributi di autorevoli filosofi, esperti di bioetica animale, teologi, sociologi, che hanno partecipato ai dibattiti per la formulazione della “Carta”, e fornisce infine un ampio repertorio giuridico della materia. Verdone e la comunità di Gorgona ci indicano un metodo che a me pare essenziale: per affrontare correttamente la questione animale in una visione globale della giustizia sociale, dovremmo entrare più profondamente in relazione con loro, imparare a comprenderne le emozioni e il pensiero e ad assumere comportamenti di responsabilità e di cura nei loro confronti. Ci vorrebbero politiche che favoriscano un’educazione al rapporto paritario con gli animali come una componente costante della nostra formazione e della qualità delle nostre vite. Forse, in tal modo, capiremmo meglio anche il senso da dare alla libertà individuale in un mondo che ci vede legati gli uni agli altri, al di là della specie, in forme sempre più accentuate di interdipendenza tra la salute delle persone, degli animali e delle piante. Per rendere sostenibile la modernità, il mondo contemporaneo non può non affrontare la questione animale. Lo squilibrio crescente tra popolazione e risorse rende obbligata la strada di ridurre progressivamente i consumi carnei. Per ogni chilogrammo di carne bovina che mangiamo vengono, infatti, consumati 20 mila litri d’acqua. E le terre destinate all’allevamento del bestiame costituiscono il 30 per cento delle terre emerse non ricoperte da ghiacci del pianeta. Riflettendo su queste cose, alcuni pensatori hanno previsto che, fra qualche tempo, l’idea di mangiare carne animale susciterà non meno orrore di quel che oggi ne provochi l’esperienza della schiavitù. Ridurre, pertanto, la produzione e il consumo di proteine animali significa non solo garantire la disponibilità di cibo ad un maggior numero di persone, ma anticipare in qualche modo anche comportamenti alimentari che saranno propri delle generazioni future. Non si tratta di diventare, d’un colpo, tutti vegetariani ma di introdurre nelle nostre scelte alimentari anche gli aspetti etici come un dovere civico. E’ un modo efficace per partecipare al dibattito pubblico sulla questione animale e contribuire, direttamente e individualmente, a rendere sostenibile lo sviluppo, nonché a incivilire il mercato e il sistema economico.
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